Udienza in tribunale per il processo sull’omicidio del marmista cattolicese Giuseppe Miceli. Il pm avrebbe fatto proiettare le foto del cadavere dell’uomo ucciso a colpi di oggetti contundenti.
Un’udienza durata alcune ore quella di ieri al Tribunale di Agrigento. Il processo è quello scaturito dall’omicidio del marmista Giuseppe Miceli, di Cattolica Eraclea, il 67enne ucciso nel suo laboratorio nel dicembre del 2015. Unico imputato è l’operaio 55enne Gaetano Sciortino, anch’egli di Cattolica Eraclea.
Ieri, davanti alla Corte d’assise presieduta da Wilma Angela Mazzara, il pm Gloria Andreoli ha fatto proiettare in aula le forti immagini del cadavere brutalmente massacrato a colpi di oggetti contundenti, così da consentire un commento e delle risposte più precise da parte degli investigatori che si sono occupati del caso.
È stata fatta un’analisi delle possibili armi del delitto, perlopiù attrezzi da lavoro, dell’isolamento della scena del crimine, del rilevamento di impronte e tracce biologiche. Secondo il parere di un brigadiere dei Carabinieri che ha parlato ieri all’udienza, parrebbe molto difficile che a uccidere Giuseppe Miceli possa essere stato più di un killer: ciò a causa degli spazi ridotti del laboratorio dove il 67enne è stato ritrovato cadavere che avrebbero reso difficile l’azione di due soggetti nel colpire la vittima con grossi oggetti contundenti.
Intanto la difesa di Sciortino, legali Santo Lucia e Giovanna Morello, sostiene l’estraneità dell’imputato ai fatti. Già alle scorse udienze aveva paventato, in maniera nemmeno troppo implicita, dei dubbi riguardo al fratello di Miceli. Il responsabile del laboratorio di biologia dei Ris di Messina, il maggiore Romano, avrebbe confermato che nel lavandino del laboratorio sarebbe stata rinvenuta una traccia di sangue riconducibile a un familiare della vittima, verosimilmente il fratello. Circostanza che però potrebbe rivelarsi non troppo rilevante in quanto l’uomo lavorava insieme alla vittima e può darsi che si sia ferito lavorando con i marmi.
Pare che i difensori di Sciortino, ieri, si siano concentrati anche su un particolare. Trattasi di una batteria di trapano ricoperta in parte dal sangue della vittima e rinvenuta sotto il cadavere. Un reperto che non sarebbe ancora stato analizzato perché non ritenuto utile ai fini investigativi. La difesa avrebbe chiesto l’analisi di questa batteria, alla ricerca di qualche traccia del killer.
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