Tangenti in cambio di prestiti a tasso agevolato da parte dell’Irfis. Per il giudice al processo scaturito dall’inchiesta “Giano Bifronte” tutte le intercettazioni possono essere utilizzate.
Dopo più di qualche falsa partenza davanti ad altri giudici, il gup Giuseppe Miceli ammette come utilizzabili tutte le intercettazioni e i capi di imputazione non vanno riscritti perché non “eccessivamente generici”. Sono 17 gli imputati del processo scaturito dall’inchiesta della Guardia di Finanza denominata “Giano Bifronte”, che avrebbe messo in luce un presunto giro di tangenti in cambio di prestiti agevolati da parte dell’Irfis, istituto di credito di cui la Regione è unica azionista.
I difensori degli imputati chiedevano di rendere inutilizzabili le intercettazioni in quanto secondo loro sarebbero state disposte per un altro procedimento. Parere completamente opposto da parte del pm Alessandra Russo, che aveva replicato chiedendo ammissibile l’uso delle intercettazioni.
Ieri pomeriggio è stato interrogato il personaggio chiave dell’inchiesta. Si tratta del funzionario dell’Irfis Paolo Minafò, palermitano 53enne. Minafò, insieme al consulente del lavoro Antonio Vetro, 48 anni, è il principale imputato al processo. Entrambi erano stati arrestati dalle Fiamme Gialle il giorno dell’operazione “Giano Bifronte”, il 21 giugno del 2017.
Secondo la tesi accusatoria, Vetro si sarebbe servito di una società di consulenza, la Intersystem srl, della quale lui sarebbe stato l’amministratore e Minafò il socio occulto. Gli imprenditori che volevano accedere ai prestiti a tasso agevolato dell’Irfis avrebbero ceduto le tangenti che sarebbero state mascherate come pagamenti di consulenze all’Intersystem.
Gli altri 15 imputati sono appunto imprenditori che sono accusati di avere corrotto il funzionario dell’Irfis tramite Vetro. Un sistema, secondo l’accusa, che avrebbe anche penalizzato gli imprenditori onesti, scavalcati da quanti avrebbero pagato la “bustarella”.
Il processo continuerà il prossimo 5 marzo.
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