Esattamente 28 anni fa perdeva la vita, vittima di un agguato mafioso, il giudice canicattinese Rosario Livatino. Il ricordo del suo esempio morale è però ancora oggi vivo nei cuori delle persone oneste.
Con oggi sono passati 28 anni da quel tragico 21 settembre del 1990 quando un agguato di matrice mafiosa uccise il giudice canicattinese Rosario Livatino.
La tragedia si consumò lungo la vecchia statale 640, tra Canicattì e Agrigento, mentre il “giudice ragazzino” – così venne definito quel magistrato prodigio laureatosi a 23 anni in Giurisprudenza con il massimo dei voti – stava recandosi al capoluogo per prestare servizio presso il tribunale come ogni giorno.
Era a bordo della sua Ford Fiesta di colore rosso quando il rumore degli spari dei killer pose fine al suo lavoro e alla sua esistenza, fin troppo scomoda per alcuni.
Livatino era giovane, era un ragazzo che, per passione di giustizia, ha rinunciato a tutto pur di dare un futuro migliore alle nuove generazioni. Un modello ancora oggi vivo tra gli onesti cuori di chi l’ha conosciuto e di chi ha imparato a conoscerlo. Il suo amore per la giustizia e la sua fede in Dio sono valori che non devono perdersi.
I primi giorni di questo mese, dal palazzo vescovile di Agrigento, sono arrivate parole importanti sul processo di canonizzazione di Rosario Livatino. Per come annunciato, gli incartamenti sarebbero stati trasferiti a Roma. Le procedure per la beatificazione del giudice ragazzino sembrerebbero dunque essere arrivate alle battute finali.
“Alla fine – recita una citazione del giudice canicattinese – non ti chiederanno quanto sei stato credente, ma quanto sei stato credibile”.
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