È stato fermato dagli agenti della Polizia di Stato presso l’hotspot di Lampedusa e condotto presso la casa circondariale di Agrigento – a disposizione dell’Autorità Giudiziaria – il 23enne somalo Taher Mouhamed Ahmed.
L’uomo è sospettato di far parte di un’associazione per delinquere, armata, di carattere transnazionale, dedita a commettere reati contro la persona. In particolare i reati contestati sono la tratta di persone, il sequestro di persona, la violenza sessuale, l’omicidio aggravato e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
A emettere l’ordinanza di fermo i pm Calogero Ferrara, Gaspare Spedale e Giorgia Spiri della DDA di Palermo, guidata da Francesco Lo Voi. I particolari sono stati esposti questa mattina in conferenza stampa presso la Questura di Agrigento, alla presenza del dirigente della Squadra Mobile di Agrigento dott. Giovanni Minardi e del vice dirigente Commissario Capo Vincenzo Di Piazza.
Il somalo è stato riconosciuto dagli inquirenti come uno dei responsabili di torture e sevizie perpetrate in Libia, più precisamente in una struttura sita nei pressi di una zona agricola in territorio di Cufrà. Secondo le ricostruzioni lì i migranti venivano privati della propria libertà prima di provare la traversata verso le coste italiane.
Le indagini sul 23enne sono state avviate esattamente un mese fa, il 27 maggio, giorno dello sbarco a Lampedusa. A condurle la Seconda Divisione del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, la Squadra Mobile di Palermo, diretta dal Dott. Rodolfo Ruperti, e la Squadra Mobile di Agrigento, diretta dal già citato Dott. Giovanni Minardi. Si tratta del sesto aguzzino individuato presso le nostre coste da metà marzo ad oggi, ha spiegato Minardi, nei confronti dei quali sono stati già attuati 3 procedimenti penali.
Giunto a Lampedusa, l’arrestato avrebbe minacciato le sue vittime, anche minorenni, per convincerle a non denunciarlo. Ecco alcune delle testimonianze rese dai migranti vittime delle sevizie compiute con tubi di gomma e delle minacce perpetrate con armi da fuoco da Taher Mouhamed Ahmed:
”Al mio arrivo Mohamed il somalo era già nella struttura – recita una testimonianza –. Lui picchiava i migranti. Si divertiva a umiliarci e a farci pesare la sua supremazia. Mi ricordo che una volta lo stesso libico, a cui la struttura appartiene, lo ha ripreso perché ci picchiava così forte da ridurci in fin di vita”.
”Spesso mi costringevano a contattare telefonicamente i miei parenti e durante le comunicazioni mi colpivano ripetutamente con dei tubi di gomma” ha affermato ai pm un altro immigrato.
Ancora ”Mohamed il somalo faceva parte dei torturatori, ovvero di quelli che ti torturavano per costringere i tuoi congiunti a pagare. Ma le torture da lui inflitte non si limitavano ai momenti delle telefonate, ma si protraevano casualmente anche solo per intimorire i reclusi”.
”Iniziarono subito a torturarci per costringerci a contattare i nostri familiari affinchè inviassero il riscatto – testimonia un altro migrante –. Alla mia famiglia furono estorti 5mila dollari”.
Durante la conferenza stampa il dott. Minardi si è anche soffermato nel ringraziare i suoi uomini per l’ottimo lavoro svolto in queste settimane particolarmente intense nelle quali, ha affermato il dirigente della Squadra Mobile, si sono viste le loro qualità ed il loro valore.
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