La sua colpa? Aver indirizzato la lente di ingrandimento delle sue indagini sugli intrecci mafia–politica.
Cose, forse troppo grandi per quel magistrato modello, laureatosi a 23 anni in Giurisprudenza con il massimo dei voti.
Alle ore 08:20 degli spari ruppero il silenzio del primo giorno di autunno.
Livatino provò a scappare dalla mano assassina dei killer assoldati dalla Stidda, ma la sua corsa si interruppe nella scarpata che costeggia la strada.
Un rappresentante di Bergamo, Pietro Nava notò la scena ed avvisò la Polizia. Grazie alla sua testimonianza, per l’omicidio del “Giudice Ragazzino”, così soprannominato dall’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, sono state inflitte 10 condanne di cui 8 ergastoli. Papa Giovanni Paolo II lo chiamò “ martire della giustizia e, indirettamente, anche della fede”. Quella fede in Dio che ha accompagnato il magistrato canicattinese durante la sua vita e che dal 2011 ha indotto la Chiesa Agrigentina ad avviare il processo diocesano di canonizzazione del Giudice.
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