Uccise il compaesano Nicolò Amato. Condannato il palmese Raimondo Bonfanti. Per lui i giudici hanno deciso la condanna a poco più di 12 anni di reclusione.
È stato condannato a 12 anni e 2 mesi di reclusione con l’accusa di aver ucciso, insieme al padre e al fratello, il palmese Nicolò Amato e ferito il figlio Diego. Stiamo parlando di Raimondo Bonfanti che, dopo l’annullamento della sentenza da parte della Cassazione, è stato condannato dai giudici della Corte di Appello. La pena è stata ridotta di quasi 4 anni rispetto alla precedente che era di poco superiore ai 16 anni. Già il padre Vincenzo e il fratello Nicola sono stati condannati in un altro stralcio del processo: il primo a 21 anni e 6 mesi di reclusione, il secondo a 21 anni.
Il fatto contestato risale al 22 aprile del 2011, nel giorno del Venerdì Santo. Dietro l’omicidio ci sarebbero state questioni economiche.
Secondo quanto ricostruito la vittima, Nicolò Amato, insieme al figlio Diego era proprietaria dei locali del bar pizzeria “La Fontana” di Palma di Montechiaro, locali che aveva affittato ai tre compaesani. Non avendo però ricevuto i soldi relativi al pagamento di alcune bollette, avevano deciso di mettere dei lucchetti alle saracinesche e non permettere quindi l’ingresso ai Bonfanti. Ecco quindi che Vincenzo, Nicola e Raimondo Bonfanti, vistisi negare l’ingresso, avrebbero deciso di regolare i conti con gli Amato attendendoli proprio davanti all’attività. Ad avere la peggio il padre Nicolò che morì, mentre il figlio Diego rimase ferito al braccio, riuscendo a scampare alla tragedia. Secondo gli inquirenti a coordinare l’agguato, che comunque non venne premeditato, fu il padre Vincenzo. Il figlio Nicola sparò contro Diego mentre l’altro figlio Raimondo contro il 64enne Nicolò Amato, uccidendolo.
Adesso quindi arriva la condanna per Raimondo Bonfanti. Secondo i difensori, gli avvocati Francesco Scopelliti e Massimiliano Carnovale, l’imputato non aveva avuto alcun ruolo nella vicenda “e non aveva concorso nell’omicidio”. Uno dei principali dubbi del processo era legato al numero delle armi. Sarebbe stata una secondo la Cassazione, che ha invitato i giudici a motivare meglio il ruolo di Raimondo Bonfanti.
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