Omicidio del licatese Angelo Carità. Il fatto, come ricorderete, è avvenuto lo scorso 2 aprile, giorno di pasquetta, in una stradina di campagna. Immediate sono partite le indagini che hanno trovato la svolta dopo gli esiti degli esami dei carabinieri del Ris su di un giubbotto. Arrestato dunque il presunto esecutore materiale dell’omicidio. Stamattina conferenza alla Procura di Agrigento.
Un giubbotto è stato la chiave di svolta nelle indagini dell’omicidio del licatese Angelo Carità. Un giubbotto sul quale gli specialisti del RIS di Messina hanno trovato sulla manica destra delle piccole macchie di sangue riconducibili alla vittima.
È questa la prova che, a distanza di sei mesi dal tragico delitto, consegna alla giustizia il presunto esecutore materiale dell’omicidio. Si tratta di Orazio Rosario Cavallaro di 61 anni di Ravanusa.
Era lo scorso due di aprile, giorno di Pasquetta, quando in una stradina, traversa di via Palma, a Licata, colpi di arma da fuoco freddarono l’imprenditore 61enne Angelo Carità, morto all’interno della sua vecchia Fiat Uno di colore verde, davanti al cancello del proprio terreno agricolo. A trovare poco dopo il corpo senza vita dell’uomo era stata la moglie che aveva subito chiamato in caserma.
A eseguire all’alba di oggi il “fermo di indiziato di delitto” nei confronti di Cavallaro emesso dalla Procura di Agrigento sono stati i Carabinieri, supportati anche da unità cinofile. Le accuse a carico di Cavallaro sono quelle di omicidio volontario e porto abusivo di arma da fuoco.
L’uomo è ritenuto dagli inquirenti l’esecutore materiale dell’omicidio di Carità, anche se l’arma non è stata ancora ritrovata. La svolta è arrivata di recente. Nel corso di una perquisizione il 61enne ravanusano è stato trovato in possesso di un giubbotto sul quale i RIS hanno trovato tracce di sangue riconducibili alla vittima.
I particolari sono stati esposti questa mattina in conferenza stampa presso la Procura della Repubblica di Agrigento.
Le indagini dei Carabinieri si sono basate anche e soprattutto sulle immagini di telecamere di videosorveglianza acquisite durante il sopralluogo sulla scena del crimine. L’analisi di un imponente quantitativo di materiale video ha consentito di ripercorrere il tragitto compiuto dalla vittima negli attimi precedenti all’omicidio. In particolare i militari sono riusciti a evidenziare un’auto intenta sia a pedinare per un breve tratto la vittima sia a effettuare alcuni passaggi presso l’abitazione della stessa. Cavallaro avrebbe utilizzato un’auto di un familiare.
Perché avrebbe sparato? Secondo la Procura avrebbe agito per conto di altri. È stato l’esecutore materiale del crimine senza avere nessun collegamento con la vittima.
Il fermo odierno è stato emesso in quanto Cavallaro, con precedenti per mafia e armi, anche di recente si sarebbe recato in Germania dove avrebbe stretto “agganci” con altre persone. Il timore degli inquirenti era infatti quello che lo stesso si potesse trasferire all’estero. Per l’omicidio altre due persone sarebbero iscritte nel registro degli indagati per favoreggiamento. Le indagini dunque non sono concluse e continuano per capire chi e perché ha voluto che Carità morisse.
Un fatto di sangue che ricorda un altro fatto di sangue. Nel febbraio del 2017 la vittima, Angelo Carità, era stata infatti condannata all’ergastolo dalla Corte di Assise di Agrigento, ma comunque scarcerata per decorrenza dei termini.
Il processo era quello relativo all’omicidio di Giovanni Brunetto, trovato sotterrato nell’ottobre del 2013 – cinque mesi dopo la sua scomparsa – in un appezzamento di terreno di Canicattì.
Il processo d’appello del delitto Brunetto sarebbe dovuto partire ad aprile, ma il 2 dello stesso mese Carità fu appunto trovato morto all’interno della sua vecchia utilitaria, vittima di un agguato.
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