Per non incorrere nelle penalitá previste dalla legge di stabilitá, in caso di default avrebbero dovuto dimezzarsi le indennitá e i gettoni di presenza e bloccare le assunzioni.
“Il mancato default però – si legge in un articolo di Alessandra Serio, giornalista de “La Sicilia” – ha avuto (e ha ancora) un costo salatissimo per i cittadini, che si trovano a pagare tributi locali altissimi come l’Imu, tra le più alte d’Italia”.
Sarebbe questa la conclusione a cui è giunta la Procura della Repubblica di Messina, che sui bilanci comunali ha aperto un’inchiesta, passando in rassegna i documenti contabili dal 2009 al 2012.
Inchiesta che ora è giunta al capolinea con 62 indagati finali. Tra questi: l’ex sindaco Buzzanca, la sua giunta, 27 consiglieri comunali, l’ex ragioniere capo del Comune, e ancora: l’ex segretario generale, i revisori dei conti e quasi tutti i dirigenti di settore.
L’inchiesta della Procura messinese mira a capire se il mancato dissesto fu frutto di un accordo politico o di una precisa scelta amministrativa. In entrambi i casi, i bilanci approvati dal 2009 al 2012 non sarebbero stati veritieri.
Secondo un consulente della magistratura, al Comune di Messina per far quadrare i conti non furono iscritti i debiti fuori bilancio, furono sovrastimate alcune voci di entrata (come l’alienazione del patrimonio immobiliare e crediti in realtá inesigibili) e iscritte in entrata voci che in realtá dovevano essere registrate come «in mero transito». Infine, furono registrate le entrate attese dalle partecipate, tradizionalmente insolventi col proprio municipio poiché con i conti altrettanto in rosso.
A sindaco, ragioniere generale e tre dei revisori dei conti il P.M. Antonio Carchietti, titolare del caso, contesta inoltre il falso per aver attestato la conformitá ai parametri dettati dal patto di stabilitá.
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