La famiglia mafiosa di Licata e il suo presunto boss Angelo Occhipinti avrebbero messo su un’organizzazione capace di creare una cappa di controllo sul territorio. Ecco alcuni episodi registrati dai carabinieri, che avrebbero disarticolato la presunta struttura mafiosa con la recente operazione antimafia chiamata “Assedio”.
“Io sono nato mafioso, a me non mi ha fatto nessuno. Io ci sono nato mafioso, mi devo vergognare che sono mafioso? No, non mi vergogno”.
Questa frase sarebbe stata intercettata dai carabinieri il 14 marzo del 2018. A pronunciarla sarebbe stato Angelo Occhipinti, ritenuto dagli inquirenti il presunto reggente della famiglia mafiosa di Licata e uno dei sette soggetti fermati all’alba di ieri nel corso dell’operazione antimafia denominata “Assedio”.
L’operazione avrebbe disarticolato la struttura mafiosa della città del faro e ha coinvolto anche un soggetto ritenuto essere apicale nel panorama mafioso di Campobello di Licata.
L’organizzazione, ha detto ieri in conferenza stampa il Comandante Provinciale dei Carabinieri, Giovanni Pellegrino, esercitava una cappa di controllo sul territorio. Tra gli episodi dai quali emergerebbe la figura centrale di Occhipinti quale boss mafioso di Licata, nonché la capacità dell’organizzazione di intimidire e assoggettare il territorio, i Carabinieri ne avrebbero registrati tre in particolare.
In uno di questi un gioielliere licatese, dopo avere ricevuto una busta contenente cartucce, si sarebbe prima rivolto a Occhipinti. Solo dopo che il presunto boss lo avrebbe rassicurato che non si trattava di una “messa a posto” da parte di ambienti a lui vicini, il gioielliere si sarebbe poi rivolto ai carabinieri.
In un altro caso, un uomo avrebbe prima chiesto l’autorizzazione a Occhipinti – autorizzazione peraltro concessa, ha precisato in conferenza stampa il comandante Pellegrino – per effettuare un furto all’interno dell’abitazione di una donna, ritenuta in possesso di considerevoli quantitativi di oro.
Un altro episodio riguarda un ex consigliere comunale di Licata, decaduto nel 2008, che non risulta indagato. L’ex consigliere, derubato di un ciclomotore, prima di rivolgersi alle forze dell’ordine si sarebbe rivolto sempre a Occhipinti per riottenere subito il mezzo.
I Carabinieri hanno ricostruito anche un altro caso. Due membri dell’organizzazione sarebbero andati a lamentarsi con il presunto capo clan per un lavoro edile eseguito per un imprenditore in Germania. Avrebbero lamentato di non avere ricevuto una giusta retribuzione per il lavoro svolto. L’ “intercessione” e la mediazione svolta da Occhipinti avrebbe messo in pace i lavoratori, che chiedevano 10mila euro, e l’imprenditore che invece avrebbe voluto dare 0. Alla fine la somma versata è stata di 5mila euro.
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