La difesa del 42enne si era rivolta al tribunale del Riesame per impugnare il provvedimento emesso dopo l’interrogatorio dal gip del tribunale di Agrigento, Stefano Zammuto. I giudici del secondo grado di giudizio però hanno confermato quanto disposto dal gip Zammuto.
L’altro volto principale coinvolto nella vicenda – secondo gli inquirenti – è il 52enne Giuseppe Incardona, il cui legale non ha fatto ricorso in merito al provvedimento che ha raggiunto il suo assistito.
Gueli e Incardona erano stati arrestati con l’accusa di tentato omicidio e porto illegale di armi. I particolari erano stati resi noti in conferenza stampa. L’astio e la sparatoria sarebbero nati da una lite per banali motivi che i due avrebbero avuto in un bar.
Ne scaturì un vero e proprio inseguimento in auto durante il quale Incardona avrebbe sparato numerosi colpi all’indirizzo della Panda in fuga sulla quale si trovava Gueli. Da lì, la decisione di quest’ultimo di vendicarsi.
La ricostruzione degli inquirenti si è basata sulle intercettazioni rese possibili grazie a una microspia e un gps installati per altre indagini in un’auto. Per l’episodio di questo presunto duplice tentato omicidio sono stati iscritti nel registro degli indagati anche altri quattro soggetti.
La vicenda di Palma di Montechiaro, che sembra assumere i connotati di un caso di ”giustizia privata”, è stata seguita a distanza di meno di un mese da altri due episodi di ”giustizia fai da te”, uno tra Favara e Agrigento e l’altro – in questi giorni – a Naro.
Una mentalità di certi ambienti del nostro territorio non più tollerabile e che dipinge l’agrigentino come un ”Far West”, come ha ribadito in più di una occasione il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio.
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