Questa purtroppo è un situazione che ormai in Italia è diventata comune a molti lavoratori del settore privato.
La grave crisi economica ha causato la chiusura di migliaia di aziende e con essa la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro.
La storia che vi raccontiamo oggi ha a che fare sì con la chiusura di un’azienda ma sotto alcuni aspetti evidenzia come spesso lo Stato non tuteli gli stessi lavoratori.
Giovanni Terrasi è un operaio favarese di 50 anni.
In giovane età lavora per conto di “Saipem” ovvero la “Società Anonima Italiana Perforazioni E Montaggi” del gruppo “ENI”, specializzata tra le altre cose anche nella costruzione dei metanodotti.
Non parliamo quindi di semplici aziende ma di grosse ditte gestite con soldi pubblici.
Nel tempo Terrasi da operaio con contratto a termine raggiunge determinati periodi lavorativi che secondo la legge sarebbero stati utili alla sua assunzione definitiva.
Regolarizzazione che però tarda ad arrivare e lo stesso Terrasi è costretto a chiedere l’intervento dello Stato avviando nel 1994 una causa in Tribunale.
Secondo quanto raccontatoci dallo stesso operaio, i giudici gli danno ragione e gli assegnano anche un cospicuo risarcimento in denaro per il danno subito dall’azienda.
Ma per il Sig. Giovanni la priorità era e rimane il lavoro.
Per una presunta momentanea indisponibilità di posti all’operaio favarese la “Saipem” propone un’occupazione transitoria con la “Ghizzoni”, ditta partner della stessa, con la promessa che non appena possibile sarebbe stato riassunto.
L’operaio accetta e in “Ghizzoni” ci lavorerà per ben 14 lunghi anni fino a quando la stessa ditta chiude definitivamente i battenti.
Il 50enne negli anni ha portato avanti la sua battaglia legale rivendicando il proprio diritto all’assunzione ma nello scorso mese di maggio la Corte di Cassazione ha definitivamente messo fine alle sue speranze.
Giovanni Terrasi, in cassa integrazione per altri circa sette mesi, percepisce un assegno mensile di 1.000 €.
Sino al 2026 sulle sue spalle grava un mutuo da 500 euro al mese e una famiglia da mandare avanti.
Disperato, il Sig. Giovanni da ieri mattina ha iniziato una pacifica protesta.
L’uomo si è simbolicamente legato alle inferriate del monumento ai Caduti di piazza Cavour a Favara e ha avviato anche lo sciopero della fame.
Il 50enne disoccupato chiede la restituzione del lavoro che gli è stato negato.
Nella stessa situazione di Giovanni Terrasi ci sono anche altri due operai favaresi e il signor Girolamo Scifo di Raffadali con cui il 50enne ha affrontato il lungo iter giudiziario.
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