Facciamo un esempio: mettiamo il caso che un favarese, nato in un qualsiasi ospedale del mondo ma che è vissuto a Favara e per diverse ragioni ad un certo punto della sua vita è costretto fisicamente e anagraficamente a trasferirsi in un altro luogo, bene, quella persona quando muore non ha diritto ad un loculo nel cimitero di Piana Traversa.
Con la normativa vigente, la salma potrà ritornare nella propria Città solo se tumulata in una cappella gentilizia.
In questo modo quindi si nega al caro estinto il diritto di riposare nel luogo dove è cresciuto, dove vivono i propri cari. Una situazione questa che è di interesse collettivo e che merita una riflessione più complessa. Storicamente il nostro territorio è stato interessato dal fenomeno migratorio.
Come ben documentato nel 1950 dal regista Pietro Germi nel film “Il Cammino della Speranza”, dal Dopoguerra migliaia di favaresi sono stati costretti, anche per fame, a lasciare la propria terra in cerca di un futuro migliore.
Francia, Germania, Belgio, ma anche le Città industriali del Nord Italia erano le destinazioni più ambite e dove tuttora vivono i loro figli e nipoti. Quella era gente semplice; molti non avevano neanche potuto avere un’ istruzione.
Il territorio, allora come ora, non offriva molte soluzioni occupazionali: le scelte perlopiù erano quelle o di rompersi la schiena nei campi per un pezzo di pane o lavorare duramente nelle miniere di zolfo.
Quindi in molti, non avendo altre alternative, decidevano di lasciare gli affetti, la roba e valigie di cartone a seguito, e partivano, anche clandestinamente, portandosi dietro più cose possibili in ricordo della loro terra natale.
Ai sacrifici che questi lavoratori hanno fatto, la Città di Favara deve lo sviluppo edilizio degli anni ‘70 – ’80. Con i soldi sudati nelle fabbriche del Nord o nelle miniere del Belgio, si è concretizzato il sogno di molti che all’epoca consisteva soprattutto nel costruire quelle abitazioni che li lasciava attaccati alle loro origini. Superato il boom edilizio che aveva fatto della Città di Favara quella con il più alto tasso di imprenditorialità della Regione, dagli anni ’90, dopo tangentopoli, il fenomeno della migrazione è tornato e gradualmente si è intensificato con il passare degli anni.
La dilagante disoccupazione costringe più generazioni a cercare altrove una lavoro. Viaggi della speranza che continuano e iniziano in molti casi già nella fase degli studi con i tanti giovani che scelgono di frequentare Università che hanno sedi in Città dove sarà più facile trovare un’occupazione consona.
Buona parte dei nuovi emigranti quindi è gente con un elevato tasso di istruzione e che alla valigia di cartone sostituisce quella del Notebook o del tablet e che viaggia comodamente in aereo piuttosto che in treno.
Ma c’è una cosa che probabilmente accomuna l’emigrante favarese del dopoguerra a quello di oggi ed è la voglia, un giorno, di poter ritornare nella sua terra.
Ora, ritornando alla questione delle sepolture negate ai non nati e non residenti, come è noto a Favara, non essendoci un Ospedale per partorire, una mamma favarese deve necessariamente recarsi in un presidio sanitario esterno come ad esempio Agrigento, Canicattì, Palermo o in qualsiasi altro centro. Prima degli anni ‘70 erano molte le gestanti che preferivano dare alla luce i figli nelle loro case ma ad oggi questa pratica si è del tutto estinta.
Questi bambini quindi non nati a Favara, dal giorno delle dimissioni dal reparto ospedaliero, saranno accolti dai genitori in case ubicate nella Città dell’Agnello Pasquale, abitazioni per le quali si pagano profumatamente al Comune i tributi; bambini che poi frequenteranno le scuole dell’obbligo di Favara e che al compimento della maggiore età potranno espletare il diritto di voto per la scelta anche del loro Sindaco e dei Consiglieri Comunali.
Bene, questi bambini innegabilmente favaresi ma nati altrove, se da grandi cambiano anche il luogo di residenza, nella scongiurata ipotesi di un evento luttuoso, non potranno essere seppelliti nella loro Città.
Recente è il caso di Pasquale Palumbo, il 36enne che insieme alla sua famiglia si era trasferito a Mantova per ragioni di lavoro. Pasquale, scomparso per aneurisma lo scorso 10 dicembre a Brescia, non ha avuto diritto ad un loculo nel Cimitero di Piana Traversa. La salma dello sfortunato giovane ha momentaneamente trovato ospitalità in una cappella privata messa a disposizione da un familiare della moglie. Una soluzione tampone quella trovata della famiglia Sorce – Palumbo che però non tutti possono avere.
La soluzione al problema che ripetiamo essere di interesse collettivo, ci sarebbe e secondo noi sarebbe anche di facile esecuzione. Il Comune di Favara per scongiurare il ripetersi di questi eventi, deve apportare delle modifiche al vigente regolamento. Un provvedimento che, portato al vaglio dei Consiglieri Comunali, potrebbe subito cambiare le cose.
Altra alternativa per consentire la sepoltura ai non nati e non residenti è quella dell’ordinanza sindacale che autorizza la tumulazione delle salme, come avviene per esempio nel caso delle sepolture degli immigrati morti nelle traversate del Canale di Sicilia e che riposano nel Camposanto.
Basterebbe poco quindi per risolvere questo problema ma non si capisce ancora quale sia il motivo che spinge Sindaco, Giunta e Consiglieri Comunali a rimandare una questione che interessa anche loro.
Pare che dal Municipio qualcosa in merito si stia muovendo. Per chiudere, comunque invitiamo la classe politica favarese a occuparsi realmente delle cose che interessano la collettività perché, quando si tratta di argomenti così delicati, l’interesse dei cittadini ha priorità su qualsiasi altra discussione politica.
In tante altre situazioni, dal Comune di Favara la giustificazione alla non risoluzione dei problemi è stata affidata alla mancanza dei soldi. Questa volta però non occorrono denari, servirebbe solo la buona volontà.
Commenta articolo