L’area archeologica della “villa romana” è situata in c.da Saraceno, a qualche centinaio di metri dall’estremitá nord–ovest dell’abitato di Favara, alle spalle del cimitero di Piana Traversa. Era in una posizione dominante rispetto alla vallata, dove anticamente si sviluppava la via Agrigentum–Catina, che collegava l’insediamento del Saraceno alla costa agrigentina ed ai caricatori di grano. La stessa via, nelle zone interne dell’isola serviva la massa Philosophiana, dove si colloca la stazione romana (meglio conosciuta come villa del Casale) di Piazza Armerina.
Dagli scavi condotti negli anni 1984–1985, 1989 e 1992 dal dott. Castellana emergono diverse fasi storiche di vita della villa romana fino alla trasformazione in casale arabo.
La struttura nasce in epoca romana, tra il II e gli inizi del IV sec. d. C., come villa residenziale con schema a peristilio/cortile, con un complesso termale con mosaici in bianco e nero, con un’area a giardino con vasche, forse per pesci e annesso complesso agricolo.
In epoca tardo–costantiniana la villa viene ricostruita, ma successivamente distrutta, probabilmente a causa dei terremoti tra il 365 e 371 d. C. L’insediamento, limitatamente al settore agricolo viene sottoposto a rimaneggiamenti e la vita si protrae nel V sec. d. C.
La villa continua a vivere in epoca bizantina, dalla metá del VI alla seconda metá del VII sec. d. C. circa, con pavimenti ad opus spicatum, in cotto, con la costruzione di una chiesetta cristiana (di cui ancora oggi si osservano le strutture basamentali).
In etá tardo–bizantina vengono effettuati diversi aggiustamenti con battuto di terracotta ed impasto derivante da tegolame e paglia, in parte riutilizzato nella fase successiva. Parte delle nuove strutture ricoprono quelle precedenti, con un massiccio piano di pietra calcarea e acciottolato che serve da pavimento, riferibile al periodo fra l’VIII ed inizi del IX sec. d. C. Questo strato, comprese le strutture murarie, immediatamente sottostanti all’humus agricolo moderno, in molti casi viene intaccato dall’aratura tradizionale.
Alla conquista araba e al periodo arabo–normanno, dalla seconda metá del IX al X sec. d. C., sono riferibili i reperti ceramici in sigillata africana e la distruzione da incendio, con relativi crolli. L’ultima fase di vita della villa, ormai casale, è quella sveva, dall’XI al XIII sec. d. C., datata dalle monete sveve di Federico II e ceramica invetriata rinvenute.
Da questo periodo il casale viene abbandonato.
L’abbandono può farsi risalire alla politica antisaracena di Federico II di Svevia che è causa, in Sicilia, della fine di numerosi casali arabi, con la fondazione di nuovi borghi ai piedi di strutture fortificate (il caso di Favara è rappresentato dal castello dei Chiaramonte, ai cui piedi nasce un nuovo borgo che vive ancora oggi).
Per dovere di cronaca occorre dire il casale arabo di c.da Saraceno è caduto nell’oblìo dal periodo arabo–svevo fino a quando i Cafisi decisero di fondare un’altra villa sui resti storici esistenti della villa romana e, a quanto pare, sugli ambienti signorili. Il terreno di c.da Saraceno perviene ai Cafisi nella seconda metá del 1700. Stando agli atti notarili ritrovati, la villa Cafisi sarebbe stata realizzata tra il 1825 ed il 1840, ma non è da escludere qualche preesistenza di tipologia prettamente agricola. Le ultime ad ereditare il luogo di terre di c.da Saraceno (di oltre 52 ettari) con “un fabbricato colonico detto Casina, composta di diversi vani a pianterreno ed a primo piano e sette case coloniche sparse nei vari appezzamenti di cui è composto il latifondo” (come si legge nell’atto), sono le sorelle Mariastella, Sinfarosa, Giulia e Assunta. Da qui si evidenzia che fino al 1901 l’intera struttura comprende due elevazioni fuori terra (oggi sono tre nella parte signorile). Nel 1925 avviene una spartizione e la villa Cafisi con relative pertinenze viene assegnato alla suddetta Giulia. Nel 1838 la proprietá di c.da Saraceno passa in proprietá a Bosco Calogero e successivamente ai figli. Da qualche anno è di proprietá del demanio regionale.
Una cosa importante a questo punto va detta.
Prima della fondazione del castello chiaramontano Favara è nel buio storico assoluto. Gli storici parlano dell’esistenza di un casale arabo denominato Rehal (casale) Fewar (Favara). Nell’atto del 1299, di fondazione del monastero di S. Spirito di Girgenti da parte di Marchisia Prefolio, si cita un casale Caltafaraci, in territorio di Girgenti ed in c.da di Favara. Non è da trascurare il fatto che sul versante opposto della montagna, che guarda Agrigento, si ergono ancora i resti di una torre di tipologia araba–normanna (circa 100 mq di base e 12 m d’altezza), nell’800 inglobata in una costruzione più ampia. Nella zona più alta della montagna sono ancora visibili resti di insediamenti, fortificazioni e necropoli di varie epoche storiche, anche molto precedenti a quella romana.
Secondo lo storico Eugenio Valenti, Caltafaraci è il nome di tutta la contrada che comprende la montagna a nord–ovest di Favara e che volgarmente sarebbe divisa i quattro parti: Caltafaraci, Montagna Grande, Rificia e Saraceno. A questo punto viene da chiedersi: il casale Caltafaraci, citato nell’atto di Marchisia Prefolio, è identificare con quello di c.da Saraceno?, oppure col Rehal Fewar citato dagli storici? oppure (cosa più probabile) i casali coesistevano sulle dolci vallate della montagna?. Agli storici l’ardua sentenza.
Carmelo Antinoro www.favara.biz geneo storia favara
Villa Romana di c.da Saraceno: mille anni di storia
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