Prendo spunto da quel pochissimo che è stato detto dai candidati a sindaco di Favara domenica 29 aprile presso la sala del Collaro del Castello Chiaramontano. Il candidato uscente ha detto che il Comune può intervenire solo per le strutture e gli spazi pubblici e non sulle proprietá private. Una altro candidato ha detto che si impegnerá a restringere la perimetrazione del Centro Storico. Entrambe le risposte sono riduttive e sbagliate, perché ne l’uno, ne l’altro hanno capito il valore e la ricchezza che può rappresentare il Centro Storico di Favara per Favara e i Favaresi. Per capirne l’importanza e il valore bisogna discostarsi dal carattere di rigiditá strettamente legato alla componente di monumentalitá e intenderlo come un tessuto intriso di valori. Palazzi signorili, chiese, conventi, tessuto edilizio minore, cortili, vie, piazze, attivitá, usi, costumi, tradizioni popolari ed altro ancora rappresentano le componenti preziose e imprescindibili per comprendere il valore del nostro Centro Storico, apprezzarlo e amarlo come un comune patrimonio che i nostri avi ci hanno lasciato.
Purtroppo i legislatori del Governo centrale e regionale non hanno mai preso in seria considerazione una normativa di tutela.
Nel 1960 una occasione di dibattito sul tema è stata offerta dal Convegno di Gubbio, ma si è fermata sulle posizioni del restauro conservativo, mentre l’anno successivo, con la stesura della cosiddetta Carta di Gubbio, la salvaguardia dei Centri Storici è stata relegata semplicisticamente al corretto uso del P. R. G., strumento – e il tempo ci ha dato ragione – incapace, da solo, di cogliere la complessitá dei problemi del Centro Storico.
Nel 1964 la Commissione d’indagine Franceschini ha definito i Centri Storici “Beni Culturali” che devono essere conservati perché testimonianza di momenti fondamentali della cultura del nostro paese.
Nel 1968, nel convegno di Ascoli Piceno da parte dell’ Associazione Nazionale Centri Storici e Artistici (A. N. C. S. A.) è stato evidenziato, per la prima volta, il rapporto intercorrente fra la questione socio–economica e quella storico–culturale, in un processo, dove i Beni Culturali non possono essere conflittuali con i modelli di sviluppo.
Nel 1970, nel successivo Seminario di studi dell’A. N. C. S. A. tenuto a Gubbio per una revisione critica del problema, i Centri Storici non sono stati definiti soltanto Beni Culturali, ma anche economici e qualificati come risorsa.
Nel 1971, lungo questa linea, nel congresso dell’ A. N. C. S. A. la questione dei Centri Storici è divenuta un obbligo di natura politico–culturale, su cui l’anno successivo si è tentato di articolare il quadro politico riconducendone il livello operativo agli Enti gestionali pubblici (Stato, Regioni, Enti Locali).
Mentre da una parte, negli anni “70, gli Enti gestionali, in forma embrionale ed a singhiozzo iniziavano a dibattere la questione dei Centri Storici, dall’altro lato, questi ultimi iniziavano a subire un processo di trasformazione, deterioramento ed abbrutimento con l’uso scellerato, indiscriminato ed incontrollato di metodologie e materiali impropri, nulla da vedere con i modelli di sviluppo evidenziati nel convegno di Ascoli Piceno del 1968.
In Sicilia incombe su questa problematica un vuoto assoluto. La L. R. 70/1976 sui quartieri di Ortigia e di Agrigento ha definito i Centri Storici siciliani Beni Culturali, sociali ed economici da salvaguardare, conservare e recuperare con interventi di risanamento conservativo.
Nel 1977 la L. R. n. 80 sulle norme di tutela, valorizzazione e l’uso sociale dei beni culturali ed ambientali del territorio della Regiona siciliana nessuna menzione fa dei Centri Storici, così come la L. R. 40/1981.
Nel 1978 la definizione della L. R. 70/1976 è stata ripresa dalla L. R. n. 71 dove all’art. 55 è stata evidenziata per i nuovi edifici nelle aree rese libere semplicemente la necessitá del rispetto per l’ambiente circostante.
In quarant’anni di vita politica, dalla metá degli anni “60 ai nostri giorni, i Comuni non sono stati in grado di applicare, per povertá culturale, per clientelismo politico e chissá per quali altri motivi, quelle poche regole che il legislatore aveva dato. Quarant’anni di lassismo politico ha prodotto nei Centri Storici – e quello di Favara ne è un triste esempio – uno stravolgimento dell’assetto tipologico e morfologico che non si era mai verificato nella storia, col conseguente degrado di interi comparti e l’esodo degli abitanti, soprattutto delle generazioni più giovani.
I Piani di Recupero di cui alla L. 457/1978, nella generalitá dei casi, non hanno avuto, attuazione e, cosa altrettanto grave, il legislatore non ha mai individuato un Ente preposto al controllo dei Centri Storici, per cui tutto è stato lasciato all’arbitraria attivitá dei Comuni, coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Anche gli Enti preposti alla fornitura di energia elettrica, reti telefoniche ed altro, hanno fatto la loro parte imbrattando e violentando il tessuto storico con passaggio di fili, tralicci anche sui monumenti.
Il labile controllo attuato dalle Soprintendenze siciliane è stato represso quanche anno fa dall’Ass.to Reg.le BB. CC., AA. e P. I. sulla scorta di una banale motivazione legata all’8° comma dell’art. 55 della citata L. R. 71/1978, secondo cui le concessioni per costruzioni non comprese in zone o piani di recupero e ricadenti nelle zone di cui al primo comma del citato art. 55, non sottoposte alle prescrizioni del D. M. 1444/1968, sono rilasciate, previo nulla osta della competente Soprintendenza, che dovrá valutarne l’ammissibilitá in relazione alle esigenze di tutela. In realtá il D. M. 1444/1968, lo sappiamo tutti gli addetti ai lavori, non riguarda assolutamente questioni di tutela, ma regola semplicemente i limiti di densitá edilizia, altezza e distanze fra i fabbricati. Come se ciò non bastasse, alle ataviche carenze legislative si associano le errate interpretazioni di legge.
La triste realtá, oggi, sulla tutela e recupero del Centro Storico, è che dobbiamo constatarne il totale fallimento. L’attuazione dei Piani di Recupero in Sicilia riguarda pochissimi Comuni e, così come i Piani Regolatori Generali, quei pochi che arrivano all’approvazione risultano antiquati, superati, a causa dei lunghi tempi impiegati e dell’attivitá edificatoria incontrollata, al degrado e, perché no, alle demolizioni forzate per ragioni di pubblica incolumitá.
Ma allora che fare?
Esaminiamo, in sintesi, la situazione del Centro Storico di Favara.
Intanto dobbiamo superare il concetto fortemente riduttivo evidenziato a pag. 7 delle direttive del P.R.G. di Favara, dove il Centro Storico viene relegato alla semplice definizione di “FAVARA ANTICA, priva di caratteri monumentali”, questo, non per parere personale, ma per ciò che è scaturito da trent’anni di studi e convegni. È errato, oggi, pensare di risolvere la questione del Centro Storico come semplice recupero del tessuto edilizio esistente. Il recupero deve essere il risultato di un’insieme di processi sinergici di studi e interventi, tendenti a cogliere le identitá espressive e variegate di una cultura secolare che ha manifestato il proprio essere attraverso una moltitudine di indicatori, vie, cortili, vicoli, tessuto architettonico, da quello afferente la sfera sociale più povera a quella più ricca, attraverso le variegate sfaccettature; usi, costumi, tradizioni popolari, da quelli laici a quelli religiosi; la toponomastica rappresenta, in molti casi, un bagaglio notevole se diligentemente rapportato con la storia e il tessuto urbano (in proposito v. l’articolo sulla via Belmonte). Il processo storico demografico sin dal suo nascere, relazionato ai quartieri e quello delle attivitá socio–economiche e commerciali sono altri elementi da non sottovalutare nel lavoro di analisi e di sintesi della pianificazione del recupero del Centro Storico.
Occorre, sin da subito, pensare ad un Piano di Recupero per il Centro Storico di Favara contestualmente al P.R.G., sulla scorta della “zona Omogenea A” giá perimetrata (e non da restringere), iniziare ad acquisire il supporto cartografico di base tenendo conto dei vari indicatori. Ma attenzione a pensare di concepire detto Piano come mero strumento urbanistico, sarebbe un fatale errore.
Oggi, più che mai, per le problematiche ormai vaste ed improrogabili, occorre pensare ad un apparato tecnico dell’Amministrazione che si dedichi esclusivamente alle questioni del Centro Storico, e perché no, possibilmente con un “Assessorato al Centro Storico”, così come è stato fatto in alcune grandi cittá.
Nelle more della redazione del P. R. G. e di Recupero l’Amm.ne, attraverso l’Ass.to al Centro Storico, ritengo possa iniziare dei processi d’intervento fattivi. Fra questi penso che si possa, in via sperimentale, iniziare ad individuare qualche comparto e promuovere un’azione di recupero, nel rispetto di quanto giá disposto dalle norme d’attuazione del P.R.G. L’intervento dovrá avere come finalitá il recupero del bene per la permanenza degli stessi abitanti o per cederlo in compravendita od in affitto a famiglie o coppie in cerca di prima casa, a studenti universitari (visto il divario del mercato con Agrigento) od altro, da stabilire con apposita regolamentazione. Il recupero e la rivitalizzazione potrá avvenire secondo le seguenti procedure:
1. individuazione del comparto e delle ditte proprietarie, convocazione ed illustrazione dell’iniziativa comunale;
2. acquisto, esproprio e/o stipula di convenzioni fra il Comune ed i privati proprietari, anche per tramite Imprese esterne;
3. redazione del progetto e intervento di recupero;
4. pubblicizzazione, cessione in vendita o affitto del comparto recuperato a privati.
La progettazione ovviamente dovrá tenere conto delle esigenze delle famiglie che dovranno abitarvi, per cui potranno accorparsi e fondere, se necessario, due o più vecchie cellule abitative, nel rispetto soprattutto dell’assetto tipologico esterno originario, dei prospetti e delle coperture.
All’attivitá edilizia dovrá essere applicata un’adeguata regolamentazione dell’attivitá commerciale, possibilmente attraverso un Piano Commerciale, che privilegi all’interno del Centro Storico attivitá selezionate e ammissibili ed un piano parcheggi compatibile e sostenibile.
Le finalitá raggiunte saranno certamente molteplici: recupero, riqualificazione e rivitalizzazione del patrimonio edilizio esistente, ripresa delle attivitá commerciali, controesodo della popolazione dalla periferia verso il centro, ma non solo, tutto questo si tradurrá in un miglioramento della qualitá della vita, in svariate occasioni di lavoro e per svariati decenni.
Per il Comune (qualora non coinvolga Imprese esterne) la spesa è sostanzialmente iniziale, poiché i proventi del primo intervento serviranno per il secondo, il secondo per il terzo e così via.
Carmelo Antinoro www.favara.biz geneo storia favara
Come recuperare il Centro Storico di Favara
Pubblicità siciliatv.org
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