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Il barone Mendola: 99° anniversario della morteSTIMA TEMPO DI LETTURA: 3 min

16/02/2007
Salvatore Sorce
Visite: 680

Il barone Mendola: 99° anniversario della morte99 anni fa, nella notte del 18 febbraio 1908 moriva l’illustre barone di Fontana degli Angeli Antonio Mendola di Favara. La Famiglia era stata portata da Racalmuto alla fine del 1600 dal suo trisavolo Giovanni che aveva sposato Monaca Terranova di Favara. Antonio era figlio di Giuseppe e Angela Licata (zia di Biagio, principe di Baucina). Antonio fu quartogenito di cinque figli: Andrea (morto a 16 anni), Biagio e Gaetano (morti subito dopo la nascita), Girolama ed infine di nuovo Gaetano. A 18 anni restò orfano di padre. Il fato volle che l’unico suo figlio maschio, Giuseppe, morisse pure a 18 anni a Stuttgart in Stoccarda, dove studiava scienze naturali al politecnico. Giuseppe era un ragazzo prodigio: a 12 anni parlava quattro lingue, a 16 anni parlava e scriveva greco e latino, a 18 anni studiava l’arabo. La sua morte cambiò la vita del padre Antonio, il quale si rese conto di essere rimasto solo con la sua malinconia. L’altra figlia Angela sposò Biagio Lombardo da Canicattì, dove si trasferì definitivamente. Durante la sua vita, nel suo palazzo, sulla collina S. Francesco il barone Antonio aveva realizzato una brillante biblioteca di circa 14.000 volumi, un museo ornitologico, un rudimentale osservatorio meteorologico, un gabinetto d’imbalsamazione, una piccola rilegatoria per libri. Intorno al 1880, con una spesa di circa 500.000 lire realizzò un grande complesso architettonico per il ricovero di orfanelle e per inabili al lavoro (ancora oggi in funzione). Promosse e sostenne l’ospedale in c.da Portella. Per due volte aprì e tentò di far funzionare un asilo infantile. Tentò di costruire una caserma per i militari nella zona dell’Itria. Realizzò l’attuale via Beneficenza Mendola, urbanizzando i terreni che si affacciavano sulla stessa via. Fu il primo a Favara e probabilmente in Sicilia, a sperimentare i concimi chimici. Fu un grande studioso di ampelografia. Importò una grande quantitá di viti dai vari paesi del mondo, realizzando una preziosa collezione, su cui effettuò i suoi esperimenti, fra cui quello di creare una varietá resistente alla fillossera. Per molti anni fu membro della commissione antifillossera al Ministero dell’agricoltura. Per circa trent’anni fu consigliere comunale e provinciale. Dopo molti anni di studi e sperimentazioni scrisse un trattato di ampelografia che non poté pubblicare perché gli fu rubato e distrutto da una persona che era al suo servizio e che lui aveva licenziato. Il barone Antonio Mendola fu una persona di grande umanitá e di fede. Buona parte dei suoi guadagni li elargiva in elemosine, per aiutare le tante persone che spesso andavano a bussare alla sua porta in cerca di aiuto. Soprattutto nei giorni di festa provvedeva a fare arrivare aiuti alle orfanelle, che riteneva come seconde figlie. Spesso aiutava ragazzi volenterosi negli studi, i cui genitori non potevano sostenere le spese. Diverse volte diede aiuti economici anche a persone a lui sconosciute (fra questi il poeta dialettale Alessio Di Giovanni), che regolarmente non restituirono i denari. Per le delusioni ricevute da chi aiutava, diceva sempre di non dover più soccorrere nessuno, ma non riusciva a negare sostegno a chi lo chiedeva. Nonostante la sua mente illuminata, viveva le contraddizioni del proprio tempo avvertendone l’enorme peso. Era contro il divorzio ma viveva separato dalla moglie. Odiava la violenza e la mafia e si definiva anticonformista per non voler accettare molte delle consuetudini favaresi; per questo si sentiva incompreso e a volte denigrato anche da chi aveva ricevuto i suoi aiuti. Soprattutto nei giorni di grande solennitá, quando le famiglie si riunivano nei loro focolari domestici, il barone si chiudeva in se stesso, nella sua solitudine e malinconia, a volte in compagnia dei suoi cani, gli unici amici a lui fedeli (come li definiva) soffrendo intimamente la mancanza del figlio e del padre. La sua amarezza era tale che (come lui stesso ha scritto) solo la fede in Dio in certi momenti gli ha fatto superare la tentazione del suicidio. Morì da anacoreta, con la disperazione di essere solo, di essere un incompreso fra la plebe (e come ha scritto) di una Favara che giace sempre nell’inerzia, nell’apatia, che non si scuote, non si muove, con indolenza africana, snervata e fatalista.
Carmelo Antinoro www.favara.biz geneo storia favara



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