Il diritto alla sessualitá è tutelato dalla Costituzione – sia come diritto personale sia come proiezione verso la procreazione – e pertanto l’uomo che sposa una donna, tacendogli dolosamente la sua impossibilitá ad avere rapporti sessuali completi, rischia di essere condannato a rifondere anche i danni morali e patrimoniali alla moglie convolata a nozze ignara dei ‘difettì del promesso sposo. Lo sottolinea la Cassazione con la sentenza 9801 della Prima sezione civile, con un verdetto di Gabriella Luccioli, decana delle “toghe rosa” da sempre “paladina” dei diritti delle donne.
In pratica, il marito che omette informazioni importanti sulla propria sfera sessuale – d’ora in poi – non può più pensare di cavarsela a buon prezzo, con il solo addebito della ‘colpá nella causa di separazione che la moglie intraprenderá dopo la ‘debaclè della prima notte di nozze. La sua omissione dolosa gli costerá cara: non solo l’eventuale assegno di mantenimento per la ex, ma anche un ben più ricco ‘assegnonè per tutti i danni morali e patrimoniali che ha prodotto alla sua compagna, frustrandone le legittime aspettative ad avere una vita di coppia piena accanto ad un uomo in grado di assolvere il primario «debito coniugale».
In particolare la Suprema Corte sottolinea che il marito che – fin dai tempi del fidanzamento – ha taciuto alla partner le sue condizioni fisico–psichiche, o la sua impotenza, compie «una violazione della persona umana intesa nella sua totalitá, nella sua libertá e dignitá, nella sua autonoma determinazione al matrimonio, nelle sue aspettative di armonica vita sessuale, nei suoi progetti di maternitá, nella sua fiducia in una vita coniugale fondata sulla comunitá, sulla solidarietá e sulla piena esplicazione delle proprie potenzialitá nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela risiede negli articoli 2, 3, 29 e 30 della Costituzione».
Con questa decisione, la Cassazione ha accolto il ricorso di Cristina S. contro la sentenza con la quale la Corte di Appello di Palermo – nel 2001 – aveva respinto la sua richiesta di risarcimento danni nei confronti dell’ex marito, Stefano B., affetto da una malformazione sessuale che non aveva mai fatto curare e della quale non aveva mai parlato alla donna. I due si erano sposati in chiesa senza mai aver avuto rapporti sessuali: ma la ‘prima nottè la catastrofe virile si manifestò in tutta la sua evidenza. Subito Cristina ottenne dal tribunale ecclesiastico il «divorzio per inconsumazione» e non si appagò dell’annullamento rotale: voleva da Stefano i danni patiti «a causa della condotta illecita e contraria ai canoni di lealtá, correttezza e buona fede, per non averla informata prima delle nozze delle sue condizioni e per aver omesso, dopo il matrimonio, di sottoporsi alle opportune cure solo perchè temeva che le sue condizioni di salute fossero conosciute da terzi». Ma il Tribunale civile di Palermo, e poi la Corte di Appello, pur comprendendo le sue ragioni le dissero che «il mancato assolvimento del debito coniugale da parte del marito, determinato da causa patologica, non costituiva in sè fatto doloso o colposo al quale collegare la lesione del suo interesse a vedersi realizzata come donna, come moglie e come possibile madre, in quanto il marito non era colpevole della sua malattia». In poche parole, Cristina non poteva avere altra giustizia che quella del giá ottenuto «divorzio per mancata consumazione».
Ma la Cassazione non ha assolutamente condiviso il punto di vista dei giudici di merito e ha accolto il ricorso di Cristina alla quale adesso, la Corte di Appello di Palermo, dovrá riconoscere il diritto ad avere il risarcimento dei danni per il suo sfortunato, quanto rapido, matrimonio. Su un punto, tuttavia, la Suprema Corte ha dato torto alla donna: non poteva, comunque, pretendere che Stefano si facesse curare perchè esiste anche l’articolo 32 della Costituzione che – dicono gli ‘ermellinì – tutela il diritto di «disporre liberamente del proprio corpo». Dunque, Stefano ora dovrá pagare i sogni infranti di Cristina ma nessuna donna potrá mai costringerlo ad andare dall’andrologo.
Se il marito nasconde l’impotenza risarcisca la moglie
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